Iquelo
Glandeuse Pinéale
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Bella ragà, oggi ho avuto una discussione con dei miei colleghi di università sulla questione del modo di vestirsi a scuola e più in generale nella vita di tutti i giorni. Le frasi che mi son sentito dire sono più o meno queste: "in pantaloncini si va in spiaggia, non a scuola" oppure "bisogna avere un modo di vestire a seconda dei luoghi in cui si sta" e ancora "la scuola e le altre istituzioni pubbliche hanno bisogno di decoro".
La mia risposta è stata più o meno questa:
Siamo una società talmente "snaturata" che abbiamo imposto un modo di vestire che va bene e uno che non va bene a seconda della situazione in cui ci troviamo. Così banchieri, avvocati, commercialisti, ragionieri, economisti e insegnanti e alunni di qualsiasi disciplina non possono andare in ufficio, a una lezione, a un esame, a una causa o a qualsiasi altro evento in jeans e maglietta, in pantaloncini o addirittura in tuta perché "bisogna mantenere un certo decoro e un certo pudore".
La certezza che il pudore e il decoro siano solo schemi mentali dovrebbe arrivarvi dalla vostra stessa essenza di esseri viventi che dovrebbero essere abituati fin dalla nascita a guardarsi l'uno con l'altro nudi e crudi senza avere nessuna reazione di sconforto. Il vestiario, da geniale idea per coprirsi da quello che in natura può farci male (sole, freddo, intemperie), si è trasformato in presupposto per rapportarsi agli altri. Se inculcate nella testa di un bambino, fin da piccolo, che vedere una persona nuda è una cosa oscena lui crescerà con la formamentis che stare nudi nella vita di tutti i giorni è osceno e lo rapporterà al sesso che, tra l'altro, conosce grazie ai vostri insegnamenti come atto privato e osceno di cui non si può parlare e soprattutto non con leggerezza, come quando si discute della partita di calcetto fatta il giorno prima o di qualsiasi altra azione che ci piace compiere. Da questo nasce l'idea del "che schifo è nudo", che potremmo trasformare subito in "oddio un avvocato in felpa", oddio la camicia sporca, la maglietta strappata.
Non metto in dubbio che per tutti esista un gusto nel vestirsi, non critico la moda in se (se non viene vista come imposizione), ma un modo di vestirsi non dovrebbe creare nella testa delle persone un giudizio preconfezionato sugli altri. Non vedo il motivo per cui le persone che vestono in giacca e cravatta e quelle che vestono in modo alternativo (magari da "pankabbestia", come direbbe qualcuno) debbano rappresentare due categorie di persone diverse e inavvicinabili.
Se la storia della moda, del vestiario, fosse andata in modo diverso, magari oggi il modo giusto di vestirsi sarebbe stato felpa e jeans, o magari maglietta e pantaloncini, e tutti lo avreste accettato e ben visto come oggi accettate e vedete di buon occhio chi sta con giacca e cravatta.
Quindi, fate andare la gente in giro vestita come meglio crede, e guardatela dentro, non fuori.
Voi cosa ne pensate?
Chiudo facendovi una domanda: Che differenza c'è, a parità di preparazione, tra l'avvocato in giacca e cravatta e quell'avvocato messicano che ha deciso di modificare con pearcing, impianti e tatuaggi l'85% del proprio corpo?
Peace
La mia risposta è stata più o meno questa:
Siamo una società talmente "snaturata" che abbiamo imposto un modo di vestire che va bene e uno che non va bene a seconda della situazione in cui ci troviamo. Così banchieri, avvocati, commercialisti, ragionieri, economisti e insegnanti e alunni di qualsiasi disciplina non possono andare in ufficio, a una lezione, a un esame, a una causa o a qualsiasi altro evento in jeans e maglietta, in pantaloncini o addirittura in tuta perché "bisogna mantenere un certo decoro e un certo pudore".
La certezza che il pudore e il decoro siano solo schemi mentali dovrebbe arrivarvi dalla vostra stessa essenza di esseri viventi che dovrebbero essere abituati fin dalla nascita a guardarsi l'uno con l'altro nudi e crudi senza avere nessuna reazione di sconforto. Il vestiario, da geniale idea per coprirsi da quello che in natura può farci male (sole, freddo, intemperie), si è trasformato in presupposto per rapportarsi agli altri. Se inculcate nella testa di un bambino, fin da piccolo, che vedere una persona nuda è una cosa oscena lui crescerà con la formamentis che stare nudi nella vita di tutti i giorni è osceno e lo rapporterà al sesso che, tra l'altro, conosce grazie ai vostri insegnamenti come atto privato e osceno di cui non si può parlare e soprattutto non con leggerezza, come quando si discute della partita di calcetto fatta il giorno prima o di qualsiasi altra azione che ci piace compiere. Da questo nasce l'idea del "che schifo è nudo", che potremmo trasformare subito in "oddio un avvocato in felpa", oddio la camicia sporca, la maglietta strappata.
Non metto in dubbio che per tutti esista un gusto nel vestirsi, non critico la moda in se (se non viene vista come imposizione), ma un modo di vestirsi non dovrebbe creare nella testa delle persone un giudizio preconfezionato sugli altri. Non vedo il motivo per cui le persone che vestono in giacca e cravatta e quelle che vestono in modo alternativo (magari da "pankabbestia", come direbbe qualcuno) debbano rappresentare due categorie di persone diverse e inavvicinabili.
Se la storia della moda, del vestiario, fosse andata in modo diverso, magari oggi il modo giusto di vestirsi sarebbe stato felpa e jeans, o magari maglietta e pantaloncini, e tutti lo avreste accettato e ben visto come oggi accettate e vedete di buon occhio chi sta con giacca e cravatta.
Quindi, fate andare la gente in giro vestita come meglio crede, e guardatela dentro, non fuori.
Voi cosa ne pensate?
Chiudo facendovi una domanda: Che differenza c'è, a parità di preparazione, tra l'avvocato in giacca e cravatta e quell'avvocato messicano che ha deciso di modificare con pearcing, impianti e tatuaggi l'85% del proprio corpo?
Peace